Tour 2003: CANADA

2.Province Marittime 1. Québec 

Québec e Province Marittime:   da Montreal ad Halifax -Km.: 1650 -giorni: 19 (2 di riposo...)       - Periodo: Luglio 

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Giorno 10: Amqui - Cambellton: 120 km.

 

Ultima tappa in Québec: lasciando l'ampia valle del lago Matapedia, la strada scende (impercettibilmente), verso il

 mare e il New Brunswick, costeggiando il (fiume) Matapedia. Da Causapscal fino alla confluenza col Restigouche, per oltre 50 km., non ci sono praticamente centri abitati, ma solo il fiume, la strada, e i ripidi pendii coperti di conifere che chiudono la stretta vallata da una parte e dall'altra. Dovrei menzionare anche la ferrovia, ma questa è praticamente invisibile, a meno che non passi un treno, il che accade al massimo quattro o cinque volte in un giorno. Anche sulla strada il traffico è piuttosto scarso. La presenza più massiccia è senz'altro quella dei pescatori, ma anche questi si mimetizzano molto bene. I fiumi della Gaspesia e del Nuovo Brunswick sono tra i più ricchi del mondo per la pesca al salmone.  La strada e' in continua ma quasi impercettibile discesa, il che non riesce a compensare, in questa giornata, l'effetto del vento contrario che si incunea nella stretta vallata. La giornata è piuttosto calda, e il percorso quasi tutto al sole (la valle si apre verso sud). Vento, temperatura e sole contribuiscono ad accelerare il processo di disidratazione. Sfortunatamente lungo tutta la strada non si trova un goccio d’acqua. L'unica cosa da fare è proseguire di buon passo e centellinare quella delle borracce. Nel pomeriggio cominciano ad addensarsi nubi cumuliformi, è abbastanza evidente che si sta preparando un temporale. Sotto un cielo ormai coperto, arrivo ad un bivio piuttosto anonimo dove la valle biforca in due direzioni. Attraverso il ponte sul Restigouche e, quasi senza accorgermene,  sono arrivato nel Nuovo Brunswick. Dopo pochi chilometri inizia a piovere ma fortunatamente, a giudicare dall'orizzonte completamente oscurato sulla sponda opposta, quella che mi ha raggiunto è solo la coda del temporale. Dopo un quarto d'ora posso ripartire in direzione di Cambellton. La vallata del Restigouche si presenta boscosa e piuttosto pittoresca. Poco prima di arrivare in città, il fiume si allarga a formare un maestoso estuario. Qui si svolse una famosa battaglia navale, al tempo in cui inglesi e francesi si contendevano queste terre. E un’altra per tirare a riva il salmone più grande mai pescato, episodio molto meno cruento (il pesce in questione venne rilasciato), ma registrato per i posteri nel Guinness dei primati. Sul lungofiume di Cambellton, prospiciente all'imboccatura del lungo ponte metallico che attraversa l'estuario, un salmone di bronzo alto oltre due metri celebra l'avvenimento. Altra  cosa degna di nota, le sponde opposte dell'estuario si trovano su un diverso fuso orario. Arrivando nel Nuovo Brunswick dal Québec bisogna mettere l'orologio avanti di un'ora. Poco distante dal ponte, si trova l'edificio del Faro, uno degli edifici storici di Cambellton (oggi un po' perso in mezzo a un enorme parcheggio), che ospita anche l'Ostello della Gioventù (e quindi, per questa notte, anche me…)

 

Giorno 11: Cambellton - Bathurst: 130 km.

 

In una magnifica giornata di sole, lascio Bathurst e, dopo aver percorso qualche chilometro lungo l'estuario del

Restigouche, arrivo in vista del mare, cioè della Baie des Chaleurs, l'immensa insenatura, a sua volta parte del Golfo del san Lorenzo, delimitata a nord dalla Gaspesia, e a sud dalla penisola dell' Acadia. La baia è così chiamata a ragione della temperatura delle sue acque, la più elevata lungo tutta la costa atlantica americana a nord della Virginia. La temperatura dell'acqua influenza parzialmente anche il clima, e, ai primi europei giunti da queste parti, oltretutto in estate (la stagione dei viaggi in mare), diede l'illusione di essere giunti in un luogo dal clima temperato quanto quello del continente europeo. Ovviamente, non avevano alcuna idea dei rigori ai quali poteva giungere il clima man mano che ci si addentrava verso l'interno (e verso l’inverno...). La strada di oggi costeggia la baia per oltre 100 km. Dopo Dalhousie, quando, lasciato l’estuario, la costa piega verso sud, si incontrano solo scarsi agglomerati di case fino alla "riviera" dell'Acadia, una serie di villaggi, oggi soprattutto turistici, che iniziano qualche chilometro prima di arrivare a Bathurst e alla penisola Acadiana. Qui si trovano ampie spiaggie di sabbia che favoriscono lo sviluppo del turismo estivo, al suo culmine proprio in questo periodo. Quasi tutti i paesi della costa sono più antichi di Bathurst e, a riprova di questo fatto, hanno tutti un nome francese. Bisogna a questo punto dire almeno un paio di cose sull'Acadia. Il New Brunswick è l'unica provincia veramente bilingue in una nazione, il Canada, che si proclama tutta bilingue…Un terzo circa degli abitanti parla francese come lingua materna, e di questi la maggior parte si concentra lungo la costa atlantica, nella regione chiamata appunto, fin dal '700, Acadie. Oltretutto, in questi ultimi anni il francese sta ritornando prepotentemente in auge. Parlare francese da queste parti sta' tornando di moda anche tra gli anglofoni, il che fa del Nuovo Brunswick l'unico posto in Canada dove essere bilingue è considerato chic, piuttosto che un inconveniente o una fonte di controversie. In realtà, un francese che capiti da queste parti non si sentirà esattamente a casa, vista la notevole differenza di accento e vocabolario. E quando i nativi decidono di parlare Chiac, il dialetto locale metà francese e metà inglese, tutti diventano egualmente stranieri, a cominciare dagli abitanti del Québec o della Nuova Scozia… Prima della vittoria inglese a Québec City, questa parte del Nord America era tutta "Nuova Francia". Dopo la conquista, gli inglesi attuarono nei territori conquistati, con l'unica eccezione del Québec, una politica di vera e propria pulizia etnica. Di conseguenza, molti Acadiens furono costretti ad emigrare. Un buon numero di questi si rifugiarono in Louisiana, dove diedero luogo ad una nuova originale cultura di matrice francofona, quella Cajun.

 

Giorno 12: Bathurst - Miramichi: 80 km.

 

Non essendo stato possibile aggiungere un giorno in più al programma del viaggio, devo saltare il periplo della Penisola dell'Acadia, che richiederebbe almeno un paio di giorni. Di conseguenza, quella di oggi diventa praticamente una tappa di trasferimento. Una volta che ci si allontana dal mare,  il New Brunswick diventa abbastanza monotono:  due file di alberi ai lati di una strada completamente diritta. Non c'e' ombra, per via delle trincee antincendio che allontanano il bosco a trenta-quaranta metri dal ciglio stradale. Nelle ore centrali del giorno l'afa è mitigata solo dalla brezza relativa che si crea pedalando più velocemente possibile…  Al di fuori delle stazioni di servizio dove si possono comperare cibo e bevande non ci sono tanti posti dove valga la pena fermarsi. Avvicinandosi a Miramichi la strada comincia anche a diventare ondulata: i saliscendi di susseguono e si fanno più ripidi. Nel frattempo per fortuna il cielo si è coperto e la temperatura sull'asfalto è decisamente più sopportabile. Miramichi in realtà non è il nome di una città, ma di un fiume, l'ennesimo fiume "da salmoni" del Canada atlantico (il nome, come molti da queste parti, viene dalla lingua Mic-Mac). La municipalità del Miramichi comprende diversi villaggi, tra i quali Chatam, quello dove mi fermerò per la notte. Per fortuna è anche quello che si trova subito dopo il ponte, direttamente sulla strada. Il fiume in questo punto è largo almeno duecento metri, e la vista dal ponte è senz'altro la migliore della giornata.  Samuel Cunard, fondatore della leggendaria compagnia di navigazione, nacque da queste parti.

Giorno 13: Miramichi - Bouctouche: 120 km.

 

Il giorno seguente mi sveglio con una sgradita sorpresa: un raggio della ruota posteriore si è rotto (avendo

attraversato il ponte spingendo la bici a mano sono abbastanza sicuro che ieri la ruota era a posto…).  In realtà la sorpresa è solo parziale poiché, vista la condizione delle strade, dove nel migliore dei casi ogni 50 metri c'e' una cesura nell'asfalto, un'inconveniente del genere era solo questione di tempo. Il meccanico più vicino si trova in un altro paese, a 8 km in una direzione che non è quella che devo prendere oggi. Fortunatamente mi accorgo che posso sostituire il raggio senza bisogno di smontare la ruota libera, quindi decido di tentare la riparazione da solo. L'operazione riesce in modo impeccabile, ma mi prende ugualmente del tempo prezioso, in questo giorno in cui i chilometri da percorrere sono comunque tanti.

La prima parte del percorso è identico a quello di ieri, anche se fortunatamente più piatto. Quando arrivo al Parco Nazionale di Kouchibouguac, mi sono già lasciato alle spalle una cinquantina di chilometri. Sfortunatamente, pur non essendo particolarmente grande, visitare il parco come si deve richiederebbe almeno aggiungere altri 40 km. al totale della giornata. Riesco solo a fare un piccolo anello, sufficiente comunque ad arrivare al bordo dell'acqua. Il parco è una combinazione di foresta, acquitrino, laguna, dune di sabbia, che offre un ecosistema unico, che varia dall’orso... all’aragosta, e comprende una grande varietà di uccelli di mare e... di bosco (presenti esclusi), e specie ancora più numerose di insetti, tra i quali l’unico che da queste parti non ha veramente problemi a farsi trovare: la zanzara. Perfino per chi, come il sottoscritto, proviene da una zona dove d’estate le  zanzare non sono esattamente una specie rara, Kouchibouguac è veramente un altro mondo... Naturalmente a fare questa scoperta non sono andato allo scoperto... ma ben provvisto di lozione repellente del tipo fabbricato in loco, che, anche se a base di DEET, e quindi non esattamente innocua neppure per un grosso mammifero (come l’uomo...) è l’unica che funziona veramente. Come si dice, a mali estremi... Lasciando alle spalle Kouchibouguac, la monotonia del paesaggio si attenua un po’, la strada attraversa stagni, canali e, su una serie di ponti, l’estuario del Richiboucto (anche i nomi diventano più facili da pronunciare...)  Il mare, più che vederlo, si intuisce al di là delle dune, che in alcuni casi formano una barriera alta anche diversi metri, sempre ricoperta da una vegetazione rigogliosa: erba alta, arbusti, e pini. Avvicinandosi a Bouctouche, cominciano a comparire piccoli agglomerati di case, a volte costruiti proprio a ridosso delle dune, il più delle volte decorati con una bandiera, o un portone o uno steccato dipinti con i colori dell’Acadia, del tutto simili al tricolore francese tranne che per la stella gialla che compare nell’angolo superiore del campo blu (la “Stella Maris”, riferimento all’inno religioso medievale la cui musica è ripresa in quello nazionale dell’Acadia). Fermandosi a comprare un sandwich o a chiedere informazioni però è più prudente ricorrere all’inglese,  perchè, come già detto, il francese che si parla qui lo capiscono solo gli Acadiani. Con qualche notevole eccezione, come ad esempio il mio padrone di casa a Bouctouche che farà di tutto per adattarsi al mio orecchio “europeo” pur di non dover ricorrere alla lingua “imprestata” dalla Regina (o , peggio ancora, dagli ingombranti vicini del... piano di sotto: gli americani!) Poco prima di arrivare a Bouctouche, si può visitare la... madre di tutte le dune. La vista dalla torre di avvistamento (unico modo in questo paese totalmente piatto di avere una vista di qualsiasi genere...) è notevole, la duna si estende per oltre 10 km. formando una laguna interna protetta dall’oceano (o meglio, dallo stretto di Northumberland: la costa di Prince Edward Island si trova una ventina di km. al largo, ma l’isola, non avendo alture degne di nota, resta invisibile).

 

Giorno 14: Bouctouche – Cape Tormentine (100 km.)

 

Bouctouche è un piccolo villaggio raccolto attorno ad una ampia baia, con un porto di pescatori (oggi più turistico in verità) e, su un’isolotto artificiale, la ricostruzione di un villaggio dell’Acadia tradizionale, ispirato ai personaggi di una

 “saga”, (intitolata la Sagouine, dal nome della protagonista), il cui autore è un po’una sorta di Collodi (o forse Guareschi...) acadiano.  Dopo aver attraversato il ponte sulla baia, la strada costeggia quella che si potrebbe definire la “riviera sud” acadiana (per distinguerla da quella che si estende a nord di Bathurst e della penisola),  una costa di spiaggette e villaggi turistici, un turismo che a sua volta resta comunque ancora legato alla pesca, o almeno ai suoi prodotti, associando l’aspetto balneare a quello gastronomico . Se il nord del Nuovo Brunswick è la patria del salmone, l’ “Acadia meridionale” è indiscutibilmente quella dell’aragosta: i due cibi “poveri” della tradizione acadiana fino a un recente passato, e, ancora oggi, molto più a buon mercato qui che nella maggior parte del mondo). Il centro più rinomato, la cui fama varca anche i confini del Canada, è Shediac, che, non a caso, esibisce orgogliosamente un’aragosta colossale all’ingresso della città  (a far da pendant al salmone di Cambellton...). Un edificio su due nella via principale di Shediac è un ristorante. Purtroppo, quello che mi manca è soprattutto il tempo da dedicare ad un pranzo come si deve a base di aragosta (calcolando anche quello per trovare un locale che offra il giusto rapporto qualità/prezzo). La strada da percorrere è ancora lunga, ma l’appuntamento, come si vedrà, è rimandato solo di un paio di giorni. Vista la giornata calda e soleggiata cerco almeno di non mancare un altro appuntamento, quello con la spiaggia. Costeggiando il Cap Pelé, che ne ospita diverse, mi fermo a una di quelle che richiede la deviazione più breve, ma decido che non è quello che cerco. Proseguo quindi verso Cape Tormentine. Dopo il Cap Pelé, il paesaggio si fa’ più selvaggio e disabitato. La strada è piuttosto lunga, e sono ormai rassegnato ad arrivare a destinazione senza aver goduto di nessuna delle due attrazioni promesse quando, ad un orario ancora decente (grazie anche al veloce spuntino che ha sostituito il sontuoso banchetto a base di aragosta...), la strada incrocia l’ingresso di un promettente “Murray Beach Provincial Park”. Che si rivela essere nient’altro che la spiaggia più “in” di Cape Tormentine... In realtà tutto quello che c’è è un campeggio, molto discreto e poco affollato, ma il luogo è suggestivo, e il sottoscritto ha già trascorso una intera calda giornata a pedalare sotto il sole. Mi immergo quindi finalmente nelle acque (calde, vi assicuro..), che in questi quattro giorni passati nel Nuovo Brunswick non ho fatto che costeggiare, intravedere e perdere di vista. Prima di terminare la giornata riesco anche a godere della veduta, indubbiamente notevole, del Confederation Bridge, il ponte che collega il continente nordamericano con Prince Edward Island, e, con i suoi 13 km., è anche il più lungo ponte continuo (su piloni), del mondo.

 

Giorno 15-16: Borden-Carleton (Confederation Bridge) – Charlottetown: 50 km.  

 

Questo è il giorno in cui avrei dovuto avere la visione migliore del Ponte della Confederazione, ma la giornata inizia

sotto un cielo coperto e minaccioso, e il ponte non è mai visibile lungo i pochi  chilometri che conducono al centro di accoglienza da dove partono le navette che accompagnano pedoni e ciclisti dalla parte opposta (il transito con la navetta è obbligatorio e gratuito). La stazione di partenza dista almeno 3 km. dalla rampa di ingresso al ponte. Lo stretto di Northumberland è avvolto nella nebbia, per cui l’unica cosa che si vede durante la lunga e monotona traversata (la velocità è limitata a circa 50 km/h), sono un centinaio di metri di asfalto davanti al pulmino, e le acque grigie e increspate dello stretto oltre il parapetto del ponte (le increspature sono probabilmente onde di almeno un metro, vista l’altezza dei pilastri, ma la bruma annulla completamente ogni senso della distanza). A Borden-Carleton, sul lato dell’isola del Principe Edoardo (PEI da qui in avanti), cade una pioggia sferzante, la cui direzione il vento modifica ogni 5 minuti. Mancano circa 50 km. per arrivare a Charlottetown, la capitale dell’isola

(PEI è la più piccola delle province della confederazione Canadese). Il percorso non è più completamente piatto come nei giorni precedenti, ci sono saliscendi brevi ma continui, e una salita un po’ più lunga che conduce sulle alture che dominano la baia di Charlottetown. Quando ci arrivo comunque ha smesso di piovere per cui la discesa verso i sobborghi che circondano la cittadina si svolge senza problemi. A questo punto posso dire di aver portato a termine la parte “tosta” del viaggio: 1000 km. circa pedalati senza interruzione da Québec City fino a qui.  Domani mi concederò il secondo giorno di sosta, e poi mi resteranno tre giorni abbastanza “tranquilli” per arrivare ad Halifax.

Questo giorno di riposo cade convenientemente in domenica, e per passare una domenica in pieno relax, Charlottetown si rivela il posto ideale. A cominciare dal pranzo a base di aragosta per il quale, finalmente, è venuto il momento.  Scelgo (dopo aver preso accurate informazioni) un piccolo locale sul lato opposto della strada rispetto alla zona commerciale del porto turistico. Attrezzato a mo’ di maniscalco ottocentesco con grembiuli e ferri vari, mi posso dedicare all’opera avendo a disposizione tutto il tempo del mondo (o almeno l’impressione, ed è già sufficente...) Al termine, mi resta il tempo per la visita praticamente obbligata alla Confederation House, il palazzo dove venne  firmato l’atto di nascita del Canada moderno, più o meno negli stessi anni in cui si realizzava l’unità d’Italia. Il pomeriggio lo passo facendo la spola tra i bar e i caffé di Victoria Row (la zona pedonale di Charlottetown, 100 metri a dire molto...), e la passeggiata lungo la baia con le sue gelaterie (soprattutto per i milk shake, versione anglofona dei frappé, sui quali vedi sopra...), e le panchine trasformate, in  questa domenica, in tribune dalle quali ammirare le evoluzioni dei velisti... “della domenica”.

 

Giorno 17: Charlottetown – Woods Island: 50 km. (+ ferry per Pictou, Nova Scotia)

 

Il percorso di oggi è breve ma non posso comunque prendermela eccessivamente comoda, perchè perdere il ferry

 significherrebbe dover aspettare (almeno) due ore quello successivo. La giornata è ideale, soleggiata ma non troppo calda, e l’altimetria meno impegnativa di quella di due giorni fa. Il percorso è comunque sufficentemente “mosso” da offrire alcuni scorci suggestivi sulla campagna e, a tratti, sulla costa con le sue insenature, le basse scogliere e le spiagge, accomunate, come del resto i sentieri di campagna, dalla superfice di ocra rossa per cui PEI è rinomata (livellando l’isola si otterrebbero migliaia di campi da tennis). Il passaggio sul ferry verso la Nuova Scozia non ha di per se’ gran chè di particolarmente suggestivo o eccitante, se non che, per la prima (e ultima) volta nel corso del mio viaggio attraverso le Province Marittime, sono su una barca... E il mare ovviamente ha avuto da sempre un ruolo predominante nella storia di queste terre. Ad esempio, il nostro approdo a Caribou Landing, pochi chilometri fuori Pictou (il ferry probabilmente pesca troppo per entrare nel porto), ricalca quello degli scozzesi che sbarcarono qui nel 1773 a bordo dell’ HMS Hector, avanguardia della colonizzazione che diede origine, tra l’altro, al nome attuale di questa terra (che, prima della conquista britannica, era anch’essa parte della “Nuova Francia”). Oggi una replica perfetta del piccolo veliero (molto più piccolo del ferry e nonostante ciò usato, all’epoca, per la traversata... oceanica!) è la principale attrazione del porto di Pictou.

 

Giorno 18: Pictou – Truro: 70 km.

 

Nonostante tutti i tentativi della corona britannica di fare di questa terra una seconda Scozia (magari più docile della

prima...), con una certa sorpresa, mentre mi viene servita la colazione in un Diner che sembra uscito da “La tempesta perfetta”, mi giunge all’orecchio dal tavolo di fronte occupato da alcuni pescatori (a meno che non sia il cast de “La tempesta perfetta 2”), la cadenza inconfondibile (e sempre incomprensibile) del dialetto Chiac. La parlata francese sopravvive nonostante tutto anche in alcune parti della Nuova Scozia, anche se questo non è in realtà il suo limite meridionale: sopravvivono zone francofone perfino nel Maine. La giornata di oggi, nonostante il tragitto breve, si rivela in realtà una delle più faticose del viaggio. Non solo la Nuova Scozia è abbastanza “collinosa”, almeno rispetto al resto del Canada marittimo, con frequenti saliscendi, ma oggi la giornata è calda e la causa principale dell’aumento di temperatura è un forte vento da sud (contrario alla mia direzione di marcia). Nonostante la parte centrale della Nuova Scozia sia principalmente coperta da foreste, sulla strada come al solito non c’è ombra. Anche i punti di ristoro scarseggiano, essendo la zona tra qui e Truro praticamente disabitata. In pratica, gli unici punti di riferimento sicuri sono i Golf Club, che, per fortuna, qui non hanno niente di elitistico e servono tutti. Ma, forse per questo, sono anche un po’ affollati e perciò, dopo aver fatto la fila per l’ hot-dog, per risparmiare tempo decido di servirmi da bere al distributore automatico: mi scodella un the freddo che si rivela essere, letteralmente, un blocco di ghiaccio. Impiegherà fino a Truro a scongelarsi, troppa grazia...

 

Giorno 19: Truro – Halifax: 100 km.

 

Sono arrivato all’ultima tappa del viaggio: la tentazione di aggiungere “finalmente”, dopo oltre 1500 km, è forte, ma resta il rimpianto di non potere, in pratica, vedere nulla della Nuova Scozia (con due giorni a disposizione, l’enormità

 della pretesa è evidente: la Nuova Scozia è grande pressappoco quanto l’Irlanda...)  Il percorso di oggi, rispetto al precedente, è più lungo, ma anche più pianeggiante, e il vento è calato (dopo il vento da sud di ieri, le brezze incerte di oggi annunciano l’arrivo del maltempo, ma ormai il mio viaggio è finito). La prima parte del viaggio percorre una vallata lunga e stretta, sempre a poca distanza (comunque rispettosa... della privacy) dall’autostrada. Avvicinandosi ad Halifax si costeggiano una serie di laghi, che non è difficile immaginare affollati, nei week-end, dagli abitanti della capitale. Per fortuna oggi è un giorno feriale, ma ecco che, proprio dove i laghi terminano, iniziano i sobborghi di Halifax, e, vista anche l’ora, il traffico comincia a divenire un problema. Lungo tutta la strada che costeggia il Bedford Basin, il bacino interno del porto, ci sono continue code e rallentamenti. Come quasi sempre in Canada, lo stato di manutenzione del bordo stradale lascia a desiderare. Il paesaggio è già decisamente urbano. Nel bacino, al posto delle canoe, ci sono navi cariche di containers (Halifax è il terzo porto commerciale del Canada). Dal lato opposto del bacino si scorge l’ Angus McDonald Bridge (da quel che ne so’, in tutta la “vecchia” Scozia non c’e’ un ponte chiamato così...), che collega Halifax con Dartmouth, la sua “gemella” costruita sulla riva opposta della baia. Il ponte annuncia già il centro di Halifax. Raggiungo la stazione ferroviaria, dove ritiro il biglietto per il viaggio di ritorno a Montreal, e, quando mi accingo a risalire in bici (che ci crediate o no...), la molla del deragliatore anteriore “esplode” scagliando il perno da qualche parte nel bel mezzo di Cornwallis Park (non li ritroverò più, ovviamente...). La mia bici ha deciso, convenientemente, di aspettare l’ultimo dei 1600 e passa km. prima di piantarmi in asso!

Anche Halifax, nonostante la sua fama sia legata soprattutto a disastri (il Titanic, una serie di  tempeste oceaniche più o meno “perfette”, e, soprattutto, la grande esplosione del 1917, causata da una nave carica di TNT e nitrati in attesa di salpare per il fronte europeo, e ritenuta a tutt’oggi la più potente e devastante dell’era pre-atomica), si rivela una città sorprendentemente piacevole e accogliente. Basta dare un’occhiata al numero dei pub per rendersene conto e, d’altra parte, il giro dei pub è l’attività più gettonata all’ostello. Purtroppo io ho meno di 24 ore per farmi il giro di tutta la città e, visti gli orari, devo già rinunciare ad una attrazione quale il Museo Marittimo dell’Atlantico (che conserva la maggior parte dei reperti recuperati dal Titanic).

Per consolarmi mi resta la passeggiata lungo il “fronte del porto”, in realtà una delle zone più animate della città. Sullo sfondo di moderne torri dall’architettura un po’ convenzionale ma non sgradevole, si trovano i moli storici ai quali sono ormeggiate varie imbarcazioni d’epoca (tra cui a volte, ma non questa sera, purtroppo, il Bluenose, l’elegantissimo e velocissimo schooner il cui profilo compare anche nella monetina canadese da 10c), e gli edifici impeccabilmente ricostruiti (dopo l’esplosione) dei magazzini e mercati del pesce vari, oggi trasformati in zona turistica e commerciale. Uno in particolare rappresenta un’attrazione per il suo ampio, efficente ed economico ristorante free-flow, con annessa terrazza sul porto, convenientemente suddiviso in quattro reparti: primi, pesce, caffetteria e birreria... Le luci di Dartmouth, che si riflettono nelle acque della baia sulla riva opposta, danno alla scena l’ultimo tocco “metropolitano”: Halifax ha quasi l’aria di una piccola Sidney.

 

Epilogo: Halifax-Montreal: 22 ore a bordo dell’ “Ocean”

 

Nonostante il nome “marittimo”, l’Ocean è un treno, che percorre il tratto atlantico della leggendaria ferrovia trans-canadese. Il treno, in Canada, è allo stesso tempo un mezzo di trasporto economico e un po’ sorpassato (e quindi romantico...), una specie di Orient-Express democratico e popolare. Lo stesso convoglio si può già considerare d’epoca, non essendo un intenditore direi circa anni ’50. Gli interni comunque sono ben tenuti e le poltrone sono comode e, soprattutto, spaziose. Meno male perchè, ovviamente, l’Ocean non è certo un treno ad alta velocità. Comunque, in poco meno di 24 ore mi concederà il lusso supremo di un flash-back sui 1600+ chilometri percorsi sui pedali, in 19 giorni, nella direzione opposta.

Fine seconda parte.

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